Scegliere di aprire uno studio privato a trent’anni, come medico specialista, e rinunciare ai vantaggi ed alle tutele del posto pubblico, non è una cosa semplice.
Quante volte capita che un paziente venga ascoltato e visitato senza fretta da parte del medico? Senza avere una scadenza, orari da rispettare? Poche volte, forse troppo poche.
Ed è da questo pensiero che si sviluppa il mio metodo.
Il mio obiettivo è quello di avere tempo da dedicare alle persone, ai pazienti.
Formalmente si può definire come medicina “patient-centred”: il malato diventa protagonista, viene coinvolto attivamente dal medico ed esprime il suo punto di vista, in una complementarità delle competenze di entrambi.
Il modello “patient-centred” non elimina il ruolo del medico né nega il modello “disease-centred”, ma lo amplia e afferma la contemporaneità dei due versanti della malattia, quello della spiegazione medico-scientifica e quello antropologico e soggettivo del paziente.
“Patient-centered medicine is, above all, a metaphor. “Patient-centered” contrasts with “doctor-centered” and replaces a Ptolemaic universe revolving around the physician with a Copernican galaxy revolving around the patient. The flaw in the metaphor is that the patient and the doctor must coexist in a therapeutic, social, and economic relation of mutual and highly interwoven prerogatives. Neither is the king, and neither is the sun. Health relies on collaboration between the patient and the doctor, with many others serving as interested third parties. Patient and physician must therefore meet as equals, bringing different knowledge, needs, concerns, and gravitational pull but neither claiming a position of centrality. A better metaphor might be a pair of binary stars orbiting a common center of gravity, or perhaps the double helix, whose two strands encircle each other, or — to return to medicine’s roots — the caduceus, whose two serpents intertwine forever.”
(Charles L. Bardes, M.D. Defining “Patient-Centered Medicine”. N Engl J Med 2012; 366:782-783 March 1, 2012)